Per la quarta sezione della Corte d’appello del Tribunale di Palermo, l’ex attaccante è stato considerato il mandante dell’operazione che coinvolge alcuni nomi noti alle cronache giudiziarie

Sono state rese note le motivazioni della sentenza che lo scorso 8 gennaio aveva portato alla condanna, da parte del Tribunale di Palermo, a tre anni e sei mesi per estorsione dell’ex centravanti di Ternana e Perugia Fabrizio Miccoli.

Secondo  la quarta sezione della Corte d’appello di Palermo, che ha depositato le motivazioni della sentenza tre giorni fa la condanna non deriva da una condanna etico-morale per le parole pronunciate nei confronti del magistrato Giovanni Falcone, da lui definito ‘un fango’, bensì da quello che per il tribunale di Palermo è un chiaro coinvolgimento in una estorsione. Di questo reato, Miccoli è considerato il mandante.

L’imprenditore Andrea Graffagnini, fu costretto da Mauro Lauricella,  a pagare diecimila euro a un ex fisioterapista del Palermo, amico dello stesso Miccoli,  Giorgio Gasparini, per un debito legato alla cessione delle quote di una discoteca. Nelle motivazioni della sentenza si legge anche che Miccoli “era entrato in grande confidenza e in rapporti di amicizia pure con Francesco Guttadauro, nipote del noto capomafia latitante Matteo Messina Denaro e figlio di Filippo, detenuto per reati di mafia” e boss di Bagheria. Per la Procura di Palermo, Miccoli si era appunto rivolto ad esponenti vicini o appartenenti a Cosa Nostra.

Sulla sentenza ha pesato, si legge lo “stretto legame dell’imputato «con soggetti gravitanti nel mondo criminale mafioso del capoluogo siciliano” di cui aveva “mutuato linguaggio e atteggiamenti”. Per la stessa vicenda, in un processo parallelo, Lauricella era stato condannato a sette anni. Gli avvocati Giovanni Castronovo di Palermo e Gianpiero Orsino di Brindisi, che difendono Miccoli, hanno preannunciato il ricorso in Cassazione