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Grossi guai giudiziari per l’ex rossoverde Miccoli

La corte di Appello di Palermo ha confermato quanto deciso in primo grado. Uno dei legali dell’ex attaccante dei rossoverdi, annuncia il ricorso contro la sentenza che lo vede colpevole

La sentenza della Corte di Appello conferma quella di primo grado: l’ex giocatore di Perugia e Ternana Fabrizio Miccoli è stato condannato dal tribunale di Palermo a tre anni e sei mesi per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Per la Procura di Palermo Miccoli  si rivolse a Cosa nostra per fare in modo che venisse saldato un debito di circa 20000 euro ad un suo amico da parte dell’imprenditore Andrea Graffagnini.  Secondo l’accusa l’ex attaccante avrebbe messo in moto Mauro Lauricella, figlio del boss del quartiere Kalsa Antonino detto “Ù Scintilluni”, per fare in modo che, anche attraverso metodi violenti, Giorgio Gasparini, ex fisioterapista del Palermo potesse riscuotere la cifra della quale avrebbe preteso essere creditore, relativamente alla gestione della discoteca  Paparazzi  ad Isola delle Femmine.

Dopo la condanna in primo grado a un anno, per violenza privata, la corte d’appello di Palermo ribaltando la sentenza aveva condannato, nel luglio scorso, Mauro Lauricella a sette anni per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Un altro mafioso coinvolto nella vicenda era stato assolto.

L’ORIGINE. Tutto era cominciato nel 2012, mentre erano in corso le indagini per la cattura di Antonino Lauricella, padre di Mauro. E’ stata proprio una intercettazione a far finire Miccoli nell’indagine: durante la conversazione, infatti, Miccoli era stato sentito canticchiare insieme all’amico quella stessa frase che – pronunciata mentre giocava in Sicilia – segnò la fine della sua carriera calcistica (aveva definito Giovanni Falcone, il magistrato della mafia “un fango”) . Nell’ambito della stessa indagine Miccoli venne indagato anche per il possesso di quattro schede telefoniche: sempre secondo l’accusa l’ex capitano del Palermo avrebbe convinto il gestore di un centro telefonico a fornirgli alcune sim intestate a suoi clienti ed una di queste  fu poi prestata al figlio di Lauricella nel periodo in cui il padre era latitante.

Lauricella e un altro indagato, Gioacchino Amato, erano accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso: per i due la procura aveva chiesto una condanna rispettivamente a 10 e a 12 anni di carcere. A metà luglio del 2016, però, il collegio della seconda sezione aveva infatti assolto entrambi gli imputati dall’accusa e condannato a un anno (pena sospesa) solo Lauricella per violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Il processo d’appello non è ancora iniziato. Miccoli ha sempre respinto ogni accusa, sottolineando anche di non aver saputo all’epoca della parentela di Mauro Lauricella con il presunto boss della Kalsa.

RICORSO. Uno dei legali di Miccoli, Gianpiero Orsino, annuncia il ricorso contro la sentenza. “Questo procedimento – dice – è iniziato in primo grado quando c’era già una richiesta di archiviazione da parte della Procura che è stata rigettata. Imputazione coatta, quindi. Oggi abbiamo una persona assolutamente estranea per fatti tanto gravi che non lo possono riguardare. Anche un profano, leggendo le carte, si accorgerebbe che non è come stabilito nella sentenza. Ci ritroviamo davanti a una condanna che non ha alcuna rispondenza con i fatti. La stessa procura in tempi non sospetti aveva deciso di non chiedere il processo perchè non c’era alcuna ipotesi di reato su Miccoli”.

Foto calciorosanero.it

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