In rossoverde per un solo anno quando era sul viale del tramonto. Si vedeva che amava mangiare ma anche segnare. E seppe creare un rapporto di fiducia con la tifoseria

Un soprannome mica tanto gentile: “Lu bbove”. Ecco come veniva chiamato Giuliano Fiorini, diventato centravanti ma di “sfondamento” per la stazza che aveva assunto. Venne chiamato a guidare l’attacco della Ternana nella stagione 1989-90, affrontata con l’obiettivo di rimanere nella Terza serie conquistata a giunto dopo l’epico spareggio col Chieti. Fiorini si vedeva bene che aveva dato il suo meglio nelle precedenti stagioni: aveva un gioco anche prevedibile e aveva allentato la sua corsa, una volta poderosa.

Era stato infatti prima una bella promessa sbocciata nel Bologna e poi in giro per l’Italia sino ad arrivare alla Lazio, nella quale realizzò il gol della salvezza nel campionato epico dei biancazzurri, quando partirono da meno nove punti in virtù del calcioscommesse. A Terni fu molto amato e gli si perdonarono le sue evidenti trasgressioni col cibo dal momento che era diventato molto grasso. Ma lui, Fiorini, ci metteva lo stesso il massimo della voglia e veniva incitato con gran forza dall’intero stadio.

Con la Ternana finì la sua carriera. Ciononostante giocò per diciotto partite con la maglia numero “9” per segnare tre gol. Non una presenza determinante per quel che riguarda le segnature, è vero, ma lo fu per l’intensità del rapporto che seppe attivare coi tifosi anche se si fermò a Terni per un solo anno: non si tirava mai indietro, incitava i compagni e quando usciva dal campo era davvero stremato. Lui era di Modena ma morì a Bologna una quindicina di anni fa per un male incurabile: anche lui, anche Fiorini è riuscito a mettere il suo personale mattone nella storia dei rossoverdi.