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Longobucco il caparbio, dalla Ternana alla Coppa dei Campioni

Ascesa e caduta di un difensore calabrese cresciuto in rossoverde e arrivato fino alla Juventus a suon di carattere

Silvio Longobucco ha fatto parte della grande colonia dei calabresi che iniziò col mitico Cardillo: il giovane nato a Scalea, con la Ternana divenne uomo e calciatore, lui che doveva combattere – prima che contro gli avversari – con una grande nostalgia, cosa facile da pensare dal momento che era andato via dalla sua Calabria a quattordici anni.

Insomma, Terni e Ternana. Due anni, un periodo per niente banale per Silvio dal momento che riuscì ad esordire pure in serie B, tra i professionisti in un Ternana-Varese con il compito per niente agevole di marcare Roberto Bettega.  Due le stagioni con i rossoverdi, 34 presenze, tante se si considera che era giovanissimo. Non partecipò alla mitica scalata in Serie A della Ternana anche perché lui se ne andò alla Juventus, che era molto di più.

Ricorda Longobucco in una delle tante trasmissioni-amarcord, che la Ternana lo vendette alla Juventus nascondendo il fatto che era militare ad Orvieto, spiegando che in quell’estate del 1971 era in campeggio con degli amici e per quello non si riusciva a trovare. La Juventus ci puntava lo stesso e lo prese nonostante il mezzuccio. Attese l’esordio nella massima serie con la caparbietà tipica della sua gente quasi un anno, sino a quando nel maggio 1972  l’allenatore Vycpálek non ebbe bisogno di lui nella trasferta di Firenze, alla penultima.

Era quasi un premio per chi aveva aspettato con grande attenzione la sua ora: Longobucco non fece rimpiangere il titolare. L’esordio, allora, poi una conferma nella partita dell’apoteosi a Torino, quella della vittoria del titolo numero 14. Non era facile farsi strada in quella squadra che aveva anche Bettega, Furino, Causio, Morini, Cuccureddu, Capello, Zoff. Però il nostro uno spazio se lo ritagliò comunque, riuscendo pure a giocare una finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax, persa 1-0.

Se ne andò per un fatto spiacevole: dette un pugno in un Milan-Juventus a Gorin, che mostrò tra il sangue il segno di quella violenza. Sembra che sia stato proprio l’avvocato Agnelli a determinarne la cessione. Un’altra vita col Cagliari tra Serie A e B e poi la parabola finale a Cosenza, nella squadra della sua provincia, un campionato in serie C che lui aveva fortemente voluto.

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