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Ripescaggio, una parola tante volte, nella storia, pronunciata con gioia

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Due volte dal sapore di una promozione, altrettante arrivate a dare un salvezza postuma. Quando la categoria è dipesa pure dal palazzo.

Se ne è parlato tanto (forse troppo) anche in questa ultima estate. Per la Ternana, a quanto pare, una storia che si ripete. Corsi e ricorsi storici. In attesa della decisione del Coni che arriverà nelle prossime ore, ecco tutti i precedenti tra i rossoverdi e i ripescaggi.

UNA STORIA CHE PARTE DA LONTANO. Quattro volte è andata bene, due delle quali nell’arco di un solo decennio e ben tre in meno di vent’anni. Una sola volta, fu delusione. Ma alla base di tutto, una sola cosa: una solidità societaria che ha permesso sempre alla Ternana di poter presentare la domanda di ripescaggio. Ripescaggio con il quale i colori rossoverdi hanno, tutto sommato, sempre avuto un buon rapporto. Lo dice anche la storia. Una storia partita da molto lontano. Molti anni fa. Nel 1946. E, forse, allora non avrebbe immaginato nessuno che sarebbe stato il primo di ben quattro. Gli altri tre tutti nell’era moderna, gli ultimi due dei quali arrivati a mettere la pezza su altrettante retrocessioni sul campo.

LA SERIE B SPUNTATA DALLA GUERRA. Nel 1946, quando si veniva dalla seconda guerra mondiale, la Ternana era reduce da un quinto posto nella lega di centro sud di serie C. Gli organismi calcistici nazionali decisero di farle un regalo, ammettendola alla serie B per meriti sportivi pre-bellici. La squadra, allenata prima dall’ungherese Eugenio Tacacs e poi da Eraldo Pangrazi, rispose sul campo con un secondo posto nel girone C del campionato cadetto.

IL SOGNO INFRANTO. Di ripescaggio, per le Fere, si tornò a parlare nel 1994 , quando  la squadra, reduce l’anno prima dal fallimento Gelfusa e dalla ripartenza dalla serie D (allora Campionato nazionale dilettanti), tentò l’ammissione alla C2 approfittando di alcune squadre che non si iscrissero. La mannaia della federazione, che solo un anno prima aveva abbattuto proprio la Ternana, si accanì nella C2 di allora su Mantova, Giarre, Akragas, L’Aquila, Viareggio e Cerveteri. La società rossoverde, allenata da Paolo Ammoniaci e con Franco Fedeli al timone socitario, provò a far leva sulla storicità, sulle tradizioni, sul pubblico sempre numeroso e sul blasone. Ma non servì. I criteri favorirono principalmente le compagini dilettantistiche classificate seconde nei loro gironi. La Ternana non ci riuscì, avendo chiuso al terzo posto dietro al Teramo neopromosso in C2 e alla Narnese del tecnico ternano Alberto Favilla.  E così, in barba alle tradizioni calcistiche passate e anche al bacino d’utenza, il ripescaggio baciò delle squadre-Carneade come Fermana, Valdagno, Saronno, Nocerina, Frosinone (a quei tempi molto meno blasonato della Ternana) e Albanova.

L’ANNO DOPO ANDO’ BENE. Il purgatorio in serie D durò solo un altro anno. Nel 1995, infatti, la squadra, allenata da Massimo Silva e sempre in mano a Fedeli, il ripescaggio lo ottenne davvero. Stavolta, grazie anche al secondo posto, colto nel suo girone dietro alla Viterbese promossa di diritto. In C2 risultarono cancellate Vastese e Grosseto, mentre la Gallaratese andò a fondersi nella Pro Patria di Busto Arsizio. Rossoverdi, dunque, ripescati, insieme alla Triestina e all’Imola. E in qulla prima stagione in categoria superiore, la squadra si comportò bene. Arrivò ai playoff, dove però venne battuta dalla Fermana grazie a quel tristemente noto gol di Pennacchietti che fece cadere il gelo sul Liberati a recupero praticamente scaduto, qualificando i marchigiani alla finale contro il Livorno, che poi vinsero pure salendo in C1.

A SPESE DELLA FIORENTINA. Passarono sette anni, tutti positivi e caratterizzati pure dal ritorno in serie B. Ma nel 2002, il pubblico ternano piombò di nuovo nello sconforto di una retrocessione. Erano gli anni della gestione Agarini. Una Ternana che vide avvicendarsi sulla panchina prima Andrea Agostinelli, poi Claudio Tobia e infine Bruno Bolchi; arrivò a retrocedere al’ultima giornata per mano del Bari. Ma solo pochi giorni dopo quella delusione, cominciò ad aggravarsi la situazione finanziaria della Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori. Finì con l’illustre estromissione dei viola gigliati e il ripescaggio proprio della Ternana, migliore classificata tra le retrocesse. La squadra, affidata a Mario Beretta , onorò il ritorno in B con un buon campionato, chiuso al settimo posto in classifica.

DAL BARATRO ALLA NUOVA RINASCITA. Eccoci al 2011. Campionato di serie C1, allora denominato Prima divisione di Lega Pro. In piena era Longarini. La squadra subì una sonora doppia beffa, sempre nel finale di partita. Condannata prima al playout dall’Andria che nel recupero pareggiò e vinse la partita a Terni (salvandosi), poi alla retrocessione in Seconda divisione dal Foligno, che segnò la rete decisiva della propria salvezza sempre a pochi istanti dal termine. Una partita, quella, giocata davanti a poco più di duecento spettatori, a sancire con la retrocessione un periodo in cui si era creato distacco tra la tifoseria e la squadra. Ma da lì a poco, l’episodio che avrebbe invertito la tendenza, aprendo la strada a un nuovo ciclo positivo ed anche al ritorno del publico allo stadio: cinque squadre di Prima divisione non si iscrissero. Erano Ravenna, Salernitana, Atletico Roma, Gela e Lucchese. Ternana, dunque, di nuvo salvata da una retrocessione grazie al ripescaggio. E la squadra intraprese subito, sotto la guida del tecnico Domenico Toscano e con Francesco Zadotti alla presidenza, la cavalcata vincente fino al ritorno in serie B.

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