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Talento, sfortuna e… ‘whisky’: Ternana, la storia di Franco Liguori

Autentico fuoriclasse cresciuto con le Fere, arrivò a sfiorare la Nazionale fino all’incontro… con il rude Benetti. Chiuse la carriera anzitempo per conquistare grande stima e riconoscimenti anche da allenatore

E’ stato il calciatore più talentuoso che sia mai cresciuto alla Ternana. Ma anche quello più sfortunato oltre ad essere il più conosciuto. Intanto Franco Liguori, mediano di professione, era nato, nel 1946, a Napoli dove lavorava il padre, ufficiale dell’Esercito Italiano. Ma da ragazzotto ha vestito la maglia di alcune squadre della città dopo che la sua famiglia si era trasferita a Terni, sempre per lavoro. E’ stato quello il momento dell’arrivo alle giovanili della Ternana, dove ha fatto tutta la trafila. Si vedeva che il ragazzino, sempre coi capelli lunghi, ci sapeva fare e gli spettatori andavano a vederlo anche quando giocava con i Giovanissimi o gli Juniores: era già ben strutturato fisicamente, un fuoriclasse allo stato puro. Frequentava pure l’Istituto Tecnico Industriale dove faticava parecchio nell’andare a scuola e sostenere le trasferte, che erano ormai quelle della prima squadra : però chi lo ha conosciuto in quel periodo ricorda che non se la “tirava”, non si faceva forte dietro la sua popolarità ed era amico di tutti.

Poi la svolta nel calcio professionistico, quello che contava : la Ternana lo cedette al Palermo, in serie A. Una questione di fidejussioni non onorate, insomma ai rosanero mancarono i soldi, lo fecero ritornare a Terni. Poteva anche andare a Verona, sempre in serie A, dove aveva giocato con le giovanili. Preferì ricoprire il ruolo di centrocampista con la Ternana, per le scelte di cuore, quelle che condizionano una vita. Ma l’arrivo in serie A tardò di pochissimo. Il Bologna se lo accaparrò nel 1970. “Mondino” Fabbri, l’allenatore dei rossoblù, lo stimava tantissimo, al punto da metterlo titolare sin dalla prima giornata. Il Bologna giocava bene anche grazie alla visione plastica del gioco di Liguori: si ricorda una sua intervista in tv, con un bicchiere in mano, faccia scanzonata, nel mentre tratteggiava il buon momento del Bologna e l’interesse da parte di Ferruccio Valcareggi per la nazionale, dove avrebbe dovuto giocare contro la Svizzera.

La sua squadra era quinta in classifica. Per tutti in quel bicchiere c’era del “whisky” , soprannome che gli rimase attaccato anche in considerazione del suo cognome. Prima della Svizzera c’era da giocare a san Siro contro il Milan. Ed è lì che incontrò  Romeo Benetti, ruvido giocatore del Milan che entrò in maniera molto, molto decisa sul suo ginocchio e che gli tagliò tutti i legamenti. Andò dal più grande luminare dell’epoca il prof Trillat, che a Lione lo rimise in sesto dal punto di vista fisico. Ma ormai era cambiato: qualche altra partita col Bologna; infortuni muscolari. Poi una cessione a Foggia sempre in serie A ed un’altra a Brindisi, in serie B.

Infine il classico chiodo per gli scarpini a soli trent’anni. Ma gli piaceva fare l’allenatore ed iniziò a Narni con il suo amico Elio Giulivi all’Elettrocarbonium per poi volare in alto, con qualche apparizione addirittura in serie A col Bologna ed in serie B col Palermo. Tutte grandi squadre, della Terza Serie, in preferenza del Sud che gli hanno dato spessore e competenza al punto che divenne per la Nazionale Under 21, l’osservatore ufficiale. Ha pure fondato una scuola calcio a Terni che porta il suo nome, un nome che anche adesso viene ben speso nel mondo del calcio ed anche fuori dal momento che da tutti è riconosciuto come un serio professionista ad ogni livello.

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